5 novembre 2010

Da Inter Blog

Semplicemente un copia incolla. (qui l'originale)
Perchè non saprei aggiungere altro.

La due giorni di Champions è stata dir poco negativa per l’Inter e non solo per motivazioni strettamente legate al rettangolo verde. La società, i calciatori e una buona parte di tifosi sono ancora alle prese con la sindrome del Triplete, avvolti nello splendido ricordo della passata stagione.
Il ritorno di Mourinho a Milano è stato il termometro per misurare lo stato della malattia. Josè Mourinho, o Jesù Mourinho (grazie Duke), ha fatto la storia dell’Inter. Ormai riposa nell’Olimpo dei grandissimi personaggi che hanno reso celebre la nostra squadra nel mondo. E’ stato fenomenale per il modo di calarsi nella realtà nerazzurra, fatta di guerre con i media, di rivalità accese con J**e e Milan e di sospetti sul famigerato Palazzo. E’ stato trasgressivo utilizzando l’arma della verità. Ha trascinato giocatori e pubblico verso un traguardo incredibile creando quella empatia (cit.) che mai si era vista a S.Siro nel recente passato. 
Ma c’è un “ma”. Dalla notte del 22 maggio Mourinho lavora per il Real Madrid. Dall’intervista al Bernabeu in cui chiedeva l’aumento per Milito, lavora per Florentino Perez. La storia del “Mou tifoso interista” è buona per Milanello Bianco, luogo fatato dove si entra solo se muniti di anello al naso. Mourinho è Mourinhista, come lo era al Leira, come lo è stato al Porto e al Chelsea. Facendo, giustamente, i propri interessi.
Le continue telefonate a Maicon, quest’estate, sono partite dal suo cellulare. Come erano partite per Lampard nel 2008, tra dichiarazioni tipo “il Chelsea resterà nel mio cuore come i tifosi dello Stamford Bridge”. Tifosi che, ovviamente, rimpiangevano la partenza di Mourinho nonostante Grant fosse arrivato ad un rigore dalla vittoria della Champions.
Nella prima intervista ad Appiano disse di non essere pirla. Abbiamo scoperto che stava approssimando per difetto. Gli sguardi, i gesti e le parole non sono mai casuali. Mou studia anche la recitazione delle proprie battute. E’ semplicemente un genio (anche) della comunicazione.
Al Mourinho blanco fa solo piacere vedere disfatte come quelle di White Hart Lane. Perché fino a quando non vinceremo di nuovo, lui sarà ancora il vate nerazzurro. Quello del “se ci fosse stato lui” (i treni arriverebbero in orario). Un’ombra di proporzioni gigantesche alle spalle del tecnico di turno. E lui sa come tenere accesa la luce per garantire una proiezione costante. Basti pensare alle 3 dita mostrate ieri sera a San Siro. Per i milanisti? Per gli interisti? Non scherziamo, quelle 3 dita sono per Mourinho e per il suo ego. Perché ieri molti interisti si sono sentiti rappresentati da un fantasma che non c’è più.
Il pifferaio magico, con una fantastica trovata delle sue, ha fatto incazzare i rossoneri, ha reso orgogliosi gli interisti davanti alle tv, ha fatto “piangere” le vedove che sono state abbandonate dalla sua dipartita e l’ha fatto come ai bei tempi. Come quando c’era lui, per l’appunto. Ieri si è vestito da tecnico dell’Inter, ma stava lavorando per il Real. Un’abile illusione per aumentare il rimpianto e sostenere il confronto col presente. Con quel Rafa Benitez che ha avuto il coraggio di sedersi sulla panchina dell’Inter nonostante potesse solo eguagliare i risultati del predecessore.
Il tecnico spagnolo è mediaticamente, fisicamente e fisiognomicamente agli antipodi dello Special One, ma quando era stato tirato in ballo a sproposito dal portoghese, ha rivolto a lui una domanda semplice semplice: “Perché se Mourinho dice che all’Inter è tutto più facile, lui se ne è andato al Real?”. Già, perché? Per le prostitute intellectuali? Perche non amava l’Italia e il calcio italiano? Può darsi, non è da escludere. Ma non ci sembrano motivazioni di primissimo piano.
Mourinho è il migliore anche perché sa quando lasciare. Era convinto che il ciclo fosse chiuso e che gente come Zanetti, Cambiasso, Samuel, Stankovic e Lucio, per indicarne alcuni, il meglio l’avesse già dato. E’ andato ad allenare una super squadra con un’età media di 25 anni, con una società in grado di fare mercato, con calciatori affamati di vittorie e di riscatto dopo 6 anni in cui sono usciti agli ottavi di Champions e dopo due stagioni finite dietro al Barcellona. Ha lasciato giocatori usurati dopo 12 mesi vissuti sul filo del rasoio ed appagati per traguardi quadriennali.
Le parole di Zanetti nell’abbraccio del Bernabeu (“Mou resta con noi”) non sono servite a nulla, perché aveva già deciso. Li aveva già abbandonati, preferendone altri. Quelli che lui riteneva i migliori. Anche per questo bisognava evitare le rimpatriate al Melià. Perché, se Sneijder, Maicon, Materazzi e compagni non se ne stanno rendendo conto, con i risultati altalenanti e con le prestazioni deludenti di questo inizio di stagione, stanno lasciando che Mou si appriopri anche della loro parte di merito (Vedete, non c’è più Mourinho…).
Mourinho deve diventare un “nemico”, anche per loro. Deve essere un personaggio a cui dimostrare che si è in grado di vincere anche senza di lui. Deve essere il rivale numero uno a cui far cambiare idea sull’abbandono. A questo punto del discorso si inserisce Benitez che crediamo  ne abbia piene le tasche di triplete, di palloni d’oro, di adeguamenti di contratto, di “voglio giocare più vicino alla porta”, di “com’era bello lo scorso anno”, delle tre dita e via di seguito.
Per i detrattori di Benitez, in gran parte vedove acclarate, non conta il fatto che abbia ottenuto risultati importanti con squadre come il Valencia e il Liverpool, non proprio compagini  di primissimo piano. Ma deve pagare lo scotto di venire dopo Mourinho. In una società sazia per il triplete e che ha come obiettivo principale il Fair Play Finanziario. Zero arrivi, una cessione eccellente e il trattamento peggiore riservato ad un allenatore dell’era Moratti.
Prima di diventare vedove di Mourinho, ça va sans dire, la stragrande maggioranza aveva partecipato al banchetto organizzato per la sua crocifissione dopo le partite contro l’Anorthosis, il Panathinaikos, il Werder, il Rubin, la Dinamo e il Barcellona, praticamente tutte e 6 le squadre affrontate nel gironcino di Champions. Senza contare le critiche ricevute in campionato, all’inizio del 2008-2009 e dopo il trittico Parma-Genoa-Catania della stagione passata.
Benitez ha le sue idee, anzi, è stato ingaggiato proprio per le sue idee. Una società che vuole perseguire un progetto preciso, soprattutto dopo vittorie come quelle di maggio, cerca di analizzare la situazione tra rosa attuale e rosa ideale per il gioco del nuovo allenatore e decide di colmare il gap. Il prima possibile, non il 31 agosto o, peggio ancora, il 31 gennaio.
Qualche tempo fa abbiamo scritto che Benitez, proprio a causa dell’immobilismo societario, avrebbe dovuto metterci del suo. Le tante assenze per infortunio dovute all’età avanzata, al mondiale e al cambio di preparazione lo hanno limitato nelle scelte che comunque hanno fruttato 18 punti in campionato e 7 in Champions. Nei momenti di difficoltà, nelle stagioni passate, la nostra coperta di Linus è stata il rombo a centrocampo. Vedremo se questa può essere la soluzione, ma resta il peccato originale di Moratti nel non aver permesso al tecnico di mettere in pratica la visione teorica che aveva della squadra.
Ps: In questi 5 anni sono cresciuti quasi tutti, dalla società (lo scorso anno Moratti non sbagliò nemmeno una dichiarazione), allo staff tecnico, ai calciatori. Solo i tifosi (non tutti) sono rimasti  immuni dal concetto di evoluzione (e dubitiamo che cresceranno mai). Quando Mourinho dice che avrebbe avuto piacere nell’affrontare l’Inter per salutare tutta la gente che lo ama, noi gli ricordiamo che abbiamo fatto l’alba a S.Siro, nell’attesa della sua venuta. Invano.

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