29 gennaio 2007

Suicide solution



Le dichiarazioni di Moggi secondo le quali, dopo lo scoppio dello scandalo calcistico più fragoroso della storia sportiva italiana, avrebbe pensato al suicidio mi fanno pensare che siamo allo sbando.

Ora, se neanche Ruggeri riesce più a trovare un trans o una ninfomane che decide di abbandonare il posto di lavoro per approdare sulla strada o su di un set a luci rosse, e si trova costretto, pure lui, a rivogersi a Moggi per fare un pò di audience, allora siamo veramente alla frutta.



Nella foto: il progetto che Moggi aveva architettato per farla finita.

23 gennaio 2007

Ronaldo


Non può passare nell’indifferenza la telenovela Ronaldo/Milan.

Non può perché Ronaldo ha rappresentato, per i tifosi nerazzurri, l’alba e il tramonto di una rivoluzione calcistica potenzialmente devastante.

Il campionato più esaltante, almeno per me, fu quello del ’98, non certo quello di Cuper, per un insieme di fattori: Ronaldo nel pieno della sua potenza ed esuberanza atletica, Simoni, allenatore lontano dal Palazzo e Uomo vero, che ci porto comunque alla finale UEFA di Parigi, e il grigiore in qui avevamo vissuto negli anni precedenti. Tutto sembrava perfetto, era veramente l’anno giusto, lo dicevano tutti, tutti tranne Moggi che quel campionato lo rubò vergognosamente.

Il Ronaldo piangente di Roma mi fece invece incazzare perché quella sconfitta fu la sconfitta della paura, della sottomissione ad un epoca che sembrava non finire mai.

Quel Ronaldo se ne andò dopo gli infortuni, se ne andò dopo la farsa dell’autoriduzione dello stipendio (ricordate?), se ne andò da perdente.

Ronaldo demolì la mia idea “romantica” del calcio, la distrusse a tal punto che da allora nessun giocatore può rappresentare, almeno per me, la maglia al di sopra di ogni sospetto.
Oggi Ibra non può rappresentare quello che fu Ronaldo (o Maradona per il Napoli) non lo può fare perchè il calcio è cambiato ed io me ne sono accorto grazie a Ronaldo.

Oggi la sua volontà è di giocare nel Milan, affari suoi, potrebbe benissimo aspirare a giocare nella Juve, non mi tocca. Per me Ronaldo ha finito di giocare a Roma in un amaro 5 maggio.


Pirla!

Causa problemi informatici inserisco solo oggi un commento sull'editoriale di Padovan di ieri.

Nel campionato in cui hanno fatto il deserto e lo han­no chiamato Inter – quante analogie con chi domi­nava in passato, comprese le sistematiche ammonizio­ni agli avversari nel turno precedente e, da ieri, anche i gol regalati –, ci sono squadre che sono distanziate di due punti appena (Toro e Milan) e accomunate da un verbo che, già di per sé, è un obiettivo: rientrare.

Padovan non passa giornata senza spalare merda sull’Inter, ma, nella sua opera dimostra di essere un povero pirla!
Infatti, non più tardi di un mese fa il direttore di Tuttosport, a proposito di Bologna –Juve così chiosava sulle interpretazioni arbitrali pro Juve:
”C’era un rigore per il Bologna (Buffon su Ma­razzina) e, forse, il pallone scagliato da Za­layeta, che è valso il successo della Juventus, in por­ta non c’è mai entrato del tutto. Chi racconta la ve­rità o, almeno cerca di farlo con onestà intellettua­le, non deve accettare censure e, meno che mai, im­porsele. Perciò, se la Juve ha sottratto tre punti al­l’avversario con un’azione viziata da un fallo di braccio (sempre di Zalayeta) e con una conclusio­ne non completamente oltre la linea di porta, va detto subito e con chiarezza. Tuttavia, per dirlo, bi­sognerebbe avere qualche sicurezza. E, invece, si­curezze non ce ne sono.”
"Esistono, in compenso, varie forme di ipocrisia. Anche nel fare una telecronaca e, dunque, nel for­nire un’informazione di prima mano. Ieri sera, per esempio, l’ormai
incontinente Fabio Caressa di Sky, prima ha affermato che, a occhio nudo, si era subito accorto del gol bianconero. Poi, al re­play, ha cambiato radicalmente opinione, scusan­dosi e, però, astenendosi dall’esaminare il secon­do movimento della palla."
E per concludere, con uno straordinario senso della misura, Padovan ci regala la perla dell’anno:

"In ogni caso, attenendoci alla prestazione, più di un punto il Bologna non avrebbe meritato, mentre la Juventus sì."

19 gennaio 2007

Reagire allo scippo



Anticipo la prima pagina di Tuttosport, per l'editoriale aspetto le 16 di oggi pomeriggio.


Mentre a Del Piero regalano una cinqecento (tempi di vacche magre a Torino) all'Inter Padovan dona il solito chilo di merda quotidiano.





Solo il titolo: "Coraggio, Cobolli reagiamo allo scippo" mi fa venire il vomito.


Ammesso e non concesso (almeno fino al termine delle indagini) che l'Inter abbia truccato i bilanci, perchè mai dovrebbe essere riassegnato lo scudetto alla Juve?


Come funziona la giustizia sportiva, l'ultimo che viene beccato si prende anche le colpe dgli altri?


Semmai lo scudetto dovrebbe essere assegnato alla quarta classificata, non certo alla Juve!



Borrelli: "Chi sbaglia paga", magari! Lo speravamo anche noi interisti e nella misura delle richieste di Palazzi...

18 gennaio 2007

Quel certo giornalismo



La notizia che anche l’Inter e Massimo Moratti – dopo il Milan e Adriano Galliani – sono indagati per falso in bilancio, chiude il cerchio giudiziario ed etico apertosi il maggio dello scorso anno a carico della so­cietà nerazzurra. Silenziato dal fragore di Calciopoli, minimiz­zato o, peggio, oscurato dai mezzi di comunicazione, colpe­volmente omesso dagli organi di giustizia sportiva, il poderoso dossier-Inter si compone ades­so di tre capitoli cruciali. Uno: il patteggiamento con cui è pas­sata in giudicato tutta una serie di reati (dalla ricettazione al fal­so), imputabili al dirigente Ga­briele Oriali e al giocatore Al­varo Recoba per il passaporto da comunitario dell’uruguaia­no. Due: il coinvolgimento di Massimo Moratti nell’affare­ Telecom e, per quanto è dato sa­pere – in forza dell’ammissione dello stesso presidente – nell’e­sercizio di controllo dell’attività privata dell’ex arbitro De San­tis. Tre: il doping amministrati­vo che la Procura di Milano ipo­tizza a carico del club neraz­zurro e senza la cui pratica l’In­ter non sarebbe nemmeno riu­scita a rientrare nei parametri previsti per l’iscrizione al cam­pionato 2004-2005.E’ lampante quanto l’accusa di falso in bilancio e il ricorso a plusvalenze fittizie rappresenti di gran lunga il fatto inequivo­cabilmente più grave. Innanzi tutto perché pone l’Inter di Mo­ratti sul piano dei molti club che hanno commesso irregolarità contabili per ottenere benefici sul piano tecnico e al di fuori dal piano regolamentare. In secon­do luogo perché toglie al club nerazzurro, e stavolta in manie­ra definitiva, quell’aureola in­debitamente costituitasi con la farsesca assegnazione dello «scudetto degli onesti», di cui una parte degli interisti sembra andare fiera. Tanto più che l’ar­tifizio per aggirare i vincoli del­l’iscrizione potrebbe riguardare – secondo alcune interpretazio­ni – la stagione 2005-2006, ov­vero quella «premiata» con il tricolore sottratto alla Juve.La nostra onestà impone di as­sumere lo stesso atteggiamento che, pur in solitudine, abbiamo tenuto durante Calciopoli. Ov­vero la presunzione di innocen­za e il diritto alla difesa per chic­chessia. Siamo sempre stati con­tro i processi sommari e le for­che. Ma anche contro una giu­stizia, sportiva o ordinaria, che da un occhio non vede e da un orecchio non intende ascoltare.


Aspettavo con ansia l'editoriale di Padovan che, sapevo, sarebbe stato chirurgico.

Chirurgico come certe bombe intelligenti che dovrebbero colpire solo gli obiettivi strategici.


Appunto:


2006-05-18 di TrendOnline.com - FtaOnline
Altra giornata difficile per la Juventus FC. Da stamattina la Guardia di Finanza sta effettuando una perquisizione presso la sede della societa calcistica, nell'ambito dell'indagine condotta dalla procura torinese con l'ipotesi di falso in bilancio. Si tratta di un nuovo filone di inchiesta oltre a quelli condotti dagli inquirenti di Roma e Napoli e coinvolge, insieme ad Antonio Giraudo, amministratore delegato dimissionario dei bianconeri, anche l'ex-direttore generale Luciano Moggi, protagonista dei presunti casi di frode sportiva. I militari delle Fiamme Gialle starebbero perquisendo anche le abitazioni di Moggi e Giraudo, e quella di Alessandro Moggi a Napoli: questo ultimo non risulta pero indagato dalla magistratura torinese. Ieri si e tenuto un incontro tra i magistrati delle tre procure, incontro che e servito razionalizzare le indagini in corso: a Napoli e stata attribuita la competenza per l'inchiesta sulla frode sportiva, a Roma quella sulla Gea World, societa che gestisce centinaia di calciatori italiani e di cui e titolare Alessandro Moggi, mentre Torino si occupera delle indagini per il falso in bilancio.

Se vogliamo condannare il marcio che c'è nel calcio ( e c'è nè troppo e da tutte le parti) facciamolo con serietà e non come se dovessimo giocarci il derby d'Italia. Sappiamo bene come andrà a finire questa storia, più o meno come è andata a finire quella del doping farmaceutico scovato in casa Juve. Il calcio, e non solo quello italiano è putrido da anni. Non dimentichiamoci lo spalmadebiti, che in giro per l'Europa ci ridono dietro ancora...

16 gennaio 2007

Il dopo Moggi



Da Tuttosport di oggi:

Se a Emerson Ferreira da Rosa, meglio conosciuto come il Puma, la galácti­ca aria di Madrid e in particolare quella del Santiago Bernabéu non ha fatto bene, anzi, discorso pressoché analogo si può fare per gli altri transfughi della Juventus che han­no scelto di accasarsi in Spagna, accettando la corte delle sirene di Real e Barça: Fabio Cannavaro, Lilian Thuram e Gianluca Zambrotta, senza dimenticare poi Fabio Ca­pello.Insomma i cinque, lasciando i bianco­neri precipitati in B dopo lo scandalo Mog­giopoli, pensavano di essere pronti a una nuova stagione di trionfi, non solo nella Li­ga, ma anche in Champions League. Pur­troppo per loro, però, le cose stanno andan­do in maniera diametralmente opposta a quelli che erano i piani estivi. La Juve soffre in Serie B, loro remano e non poco in Casti­glia e Catalogna.

Solo una riflessione, mi chiedo: perché gli unici giocatori che se ne sono andati dalla Juve e che stanno giocando in una squadra vincente sono Vieira e Ibra?
Come mai senza Moggi alle spalle questa gente è sbroccata?

15 gennaio 2007

Le grandi società e i grandi tecnici




Riporto uno stralcio dell'editoriale odierno di Padovan.




In tutta sincerità pensavo che Mourinho cercasse casa a Milano perché interessato al Milan o il Milan a lui. Ancelotti è un tecnico di primo livello, ma avrebbe dovuto capire che la sua parabola fe­lice si era chiusa nella maledettissima notte di Istanbul contro il Liverpool. L’Italia, per l’appunto, non è l’Inghilterra. Al contra­rio, Mourinho c’entrerebbe con l’Inter, ovvero la squadra che Ro­berto Mancini sta pilotando ad uno scudetto sul campo, dopo quello assegnato a tavolino. A chi, come me, trovasse curiosa la faccenda, va spiegato che nel caso non è Moratti a non voler con­fermare Mancini, ma Mancini a sfuggire al presidente. Lo si ca­pisce anche dalle più frequenti dichiarazioni degli interessati. La ragione conduce a Capello e a quell’accordo, raggiunto da Moratti con l’ex tecnico della Juve prima che deflagrasse Calciopoli e sciol­to qualche settimana dopo per motivi di opportunità.Come i lettori più affezionati sanno, mi riesce sempre difficile spo­sare le posizioni di Mancini. Tuttavia, almeno nella circostanza, è giusto capirlo. Non si tratta solo di una mera questione di orgoglio, ma di rispetto di sé e del proprio lavoro. Se è vero – ed è vero – che Moratti gli aveva preferito Capello, adesso Mancini ha il diritto di porre i propri tempi e le proprie condizioni. Apatto, naturalmen­te, di non esagerare: è da tre stagioni, infatti, che Moratti gli for­nisce lo strumento tecnico per imporsi. Riuscirci solo adesso – e co­munque senza la Juve e con un’infinita serie di penalizzazioni – è un merito che non può certo soddisfare una lunghissima attesa. Non so voi, ma io credo all’adagio che dice: una grande società fa grande un tecnico, il contrario non è dato in materia.




Traduco, per i non addetti ai lavori, le parole di Padovan.


Mancini fa bene a temporeggiare, perchè Moratti voleva liquidarlo con Capello.


D'altra parte Mancini è un coglione e quindi Moratti farebbe bene a non riconfermarlo.


Non dimentichiamoci che se un tecnico vincente come Deschamps, alla guida della squadra record in Europa, di quella stessa squadra che se fosse in serie A sarebbe l'unico vero ostacolo per l'Inter, se, ripeto, Deschamps viene messo in discussione, cosa volete che faccia io (Padovan) se non smerdare Mancini e l'Inter?


12 gennaio 2007

Padovan, sua mamma, la furia iconoclasta, l'Inter e la Nike


Allego, come da consuetudine, l'editoriale odierno di Tuttosport.


Le persone che più mi sono vicine e più mi vogliono be­ne (compresa naturalmente mia madre) mi hanno po­sto di fronte ad un problema di coscienza: sarei troppo cattivo nei confronti dell’Inter e di Roberto Mancini. An­zi, qualcuno che stimo infinitamente, mi ha scritto che verso l’una (l’Inter) uso una furia iconoclasta e verso l’al­tro (Mancini) un’ira che si perde negli anni. Sono parole – incluse quelle materne – che mi hanno sinceramente toccato. Comunque, se davvero è stato così, non mi resta che chiedere scusa e di promettere che d’ora in avanti cercherò di fare il giornalista e il direttore in maniera più fredda.Mentre mi chiedevo dove reperire la maggiore freddezza possibile mi è venuto in soccorso Il Sole 24- Ore. Cosa c’è di più freddo dei numeri? Per definizione, nulla, specie se si affrontano argomenti delicati come i bilanci. Infatti, proprio il più importante quotidiano di economia e fi­nanza, in edicola mercoledì, a pagina 21 riportava una ci­fra mirabolante (181,5 milioni di euro) accostata, guar­dacaso, all’Inter e al deficit al 30 giugno 2006. Ripeto, per una migliore comprensione delle dimensioni del pas­sivo: 181,5 milioni di euro, primato assoluto e incontra­stabile tra le società di calcio italiane.«Il precedente record negativo – spiega il pezzo di Gian­ni Dragoni – era del Parma di Calisto Tanzi nel 2002­ 2003, finito in amministrazione straordinaria con 167,3 milioni di passivo». Quelle de Il Sole 24-Ore sono infor­mazioni preziose e inequivocabili che introducono un’in­chiesta sui bilanci dei club di calcio. Se ne annunciano del­le belle perché si tratta – scrive ancora Dragoni – di «con­ti sempre traballanti, nonostante vengano partoriti nuo­vi artifici contabili». L’ultimo (o il penultimo) riguarda la rivalutazione e la cessione del marchio sul quale sarebbe opportuno aprire un’inchiesta sportiva di tipo ammini-s­trativo, visto che si tratta di «operazioni in famiglia»: ov­vero la cessione a se stessi. Mi domando: quanto questa attività è lecita, quanto è puramente formale e, soprat­tutto, quanto conduce a plusvalenze fasulle?La risposta, naturalmente, non può venire dall’Inter, né dai club che al pari dell’Inter si sono comportati. Do­vrebbe discendere, piuttosto, dagli organi di controllo della Federcalcio i quali, per prima cosa, avrebbero il do­vere di leggere le eccezioni sollevate in proposito dai re­visori della Kpmg. Essi «hanno storto il naso, con richia­mi o eccezioni su questa e altre voci del bilancio di Mo­ratti » (lo scrive sempre Dragoni).C’era una volta il doping amministrativo. C’era una vol­ta qualcuno che, indebitandosi oltre ogni limite, è saltato per aria. C’è adesso un club che, nonostante un passivo di 350 miliardi di vecchie lire, è primo in classifica e a tut­ti sembra normale, perché – vox populi – Moratti è ricco e può spendere quanto gli pare.Con la freddezza di cui dispongo, mi domando: stanno cambiando i tempi, i numeri o il modo di raccontare un calcio straordinariamente uguale a se stesso?Mi astengo, per ora, da ogni conclusione.

A parte la furia iconoclasta che ancora me la devo immaginare, Padovan e sua mamma, una volta tanto, hanno ragione!
Basta con gli sprechi, basta con il doping amministrativo e le plusvalenze inventate ad arte.
La Juve ha intrapreso la strada giusta: se non hai il grano, se vuoi i grandi nomi... chiedi alla Nike loro te li comprano!
Nella foto: Padovan, la mamma e un amico in preda ad una furia iconoclasta.

SI!!!!!!!



Preghiamo insieme pechè sia vero e non una delle solite cazzate di Padovan.

P.S. Forte la parte che dice Nike: l'ingaggio lo paghiamo noi!!!

11 gennaio 2007

IL DIABETE



I giorni, solitamente, filano via uno identico all’altro. Abituati ormai a confondere la normalità con l’eccezione e vi­ceversa, in un mondo sempre più chiassoso ed esagerato, sono esclusivamente gli avvenimenti gonfi quasi fino a scoppiare, nel bene come nel male, a smuove­re la nostra indifferenza e a far­ci provare qualche brivido inu­suale. Eppure dovrebbero pro­prio essere le piccole cose, so­prattutto quelle figlie di cuori sensibili e di immaginazione fertile, a farci sentire presenti e partecipi piuttosto che freddi numeri da piazzare uno dietro l’altro senza uno scopo. Il gioco del calcio, figlio primogenito del cuore e dell’immaginazione, dovrebbe servire anche a que­sto. Invece pare che in assenza della “bomba” di mercato o di gossip anche i giorni del pallone siano destinati a filare via uno dietro l’altro come un noiosissi­mo refrain. Eppure basterebbe osservare con maggiore atten­zione e vedere, per esempio, co­me e in che modo la vecchia Ju­ventus sia in grado di proporre modelli ispirati ad un calcio senza età e per questo mai ba­nale. Anche nel ritrovamento di canoni che sembravano perdu­ti. Piccoli miracoli che ci fanno sentire sani.Ieri, ad esempio, nel cielo sopra Torino un prodigio deve essersi realizzato e, in qualche modo, lo hanno notato gli uomini del Palazzo bianconero che, poi, so­no anche coloro i quali gestisco­no l’Ifil intesa per cassaforte de­gli Agnelli. Sicché, come i re ma­gi dell’epifanico viaggio, l’inte­ro staff juventino guidato dal principe John Elkann si è mes­so in marcia per raggiungere il “presepe” dove, quotidiana­mente, si ritrovano i giocatori bianconeri e la sua gente tifosa. Questo accadeva più o meno nello stesso momento in cui, a Firenze, l’altro principe Lapo Elkann ci confidava certi picco­li segreti di una memorabile se­rata vissuta, tra gli altri, in com­pagnia di quel Gigi Buffon che ha ormai ottime ragioni per po­ter dire di essere stato “adotta­to” dalla Famiglia e, quindi, dalla Juventus.Il popolo bianconero, fin qui in­giustificatamente diffidente nei confronti di una dirigenza rite­nuta morbida soltanto perché imparagonabile a quella canni­balesca del passato, aspettava un segnale. Idem gli “indecisi” della serie parto-non-parto. Voilà, tutti accontentati in un colpo solo. Eccolo il segnale, for­te e puntuale, lanciato dall’in­tera dirigenza e dalla stessa pro­prietà attraverso la presenza fi­sica sul posto di lavoro. Un’e­sposizione, per il momento ideologica e a seguire finanzia­ria, che tra le altre cose consen­te di celebrare con grande gioia la riscoperta quasi archeologica di una preziosità tanto antica quanto mortificata nell’ultimo decennio. La famosa “classe Ju­ventus” che era stata sacrifica­ta sull’altare di uno “stile Ju­ventus” spesso insopportabile. Non è vero che c’è mai nulla di nuovo sotto il sole.

Marco Bernardini. TUTTOSPORT

Mi permetto di segnalarvi questo nome, Marco Bernardini.
Il suo articolo, l’editoriale odierno di Tuttosport, mi ha lasciato senza fiato.
Mai lette tante troiate tutte insieme!

Mi è salito il diabete…

8 gennaio 2007

La serie D a Natal Palli


Io non volevo quasi più citarlo, ma l’editoriale di oggi del buon Padovan mi ha lasciato stranito.
Il Diretur Domenica non sapeva che fare, sulla Rai non fanno mai nulla di interessante tranne aumentare il canone, su Mediaset c’è poco di di più o di meno e così, visto che la diaria probabilmente gli arriva anche se cazzeggia, se n’è andato a Casale Monferrato a gozzovigliare per poi finire ubriaco allo stadio pensando, probabilmente, di vedere la Juve (la depressione fa brutti scherzi).
Questo il compitino che ha poi scritto per Tuttosport.

"Ieri pomeriggio sono stato in uno di quegli stadi (il Natal Palli) e in uno di quei posti ( Casale Monferrato) che Roberto Mancini – tanto per citare un tipo convinto di avere ottenuto il patentino di allenatore per meriti, dimenticando invece deroghe, protezioni e altro (leggere Sergio Cragnotti per capire) – non ha mai frequentato e, purtroppo per lui, mai frequenterà. Mancini e quelli della sua schiatta – Fabio Capello, per esempio, che del paggio boccolato è l’opposto ma, si sa, gli opposti si attraggono – ritengono che il calcio italiano si fermi a Inter, Milan, Roma, Juve (ma ora è in B) e qualche altra, a seconda delle stagioni. Per loro la categoria indica la classe di appartenenza ed essi, alla serie A di vertice, sono approdati per diritto divino. Come allenatore, Capello è stato inventato – e bisogna ammettere che ci ha visto giusto – dall’ex Unto del Signore, al secolo Silvio Berlusconi. L’altro, invece, è la creazione più artificiosa degli apparati mass-mediatici e delle lobby calcistiche più attive e invidiate. (NDR Manco Hitler esprimeva tanta malvagità con il suo complotto demo-pluto-masso-giudaico)
Entrambi, comunque, non hanno cominciato dal fondo (come Arrigo Sacchi e Alberto Zaccheroni), non hanno fatto gavetta (come Josè Mourinho e quasi tutti gli uomini di autentico valore), nemmeno lontanamente sanno cos’è la serie D italiana, il calcio che vi si gioca, il laboratorio di innovazione e di ispirazione che rappresenta, il patrimonio che incarna nel suo essere cerniera tra il professionismo esasperato e aspirazioni crescenti o frustrazioni indominabili. In serie D, e a volte anche più giù, la storia del calcio sa fondersi con il proprio futuro (per giovani calciatori o per tecnici lavoratori).
Ieri, a Casale Monferrato, si giocava Casale- Lavagnese – girone A, ultima di andata – il che significa, da una parte, la squadra che vinse lo scudetto ( sul campo, lo dico per Mancini) nel 1913- 1914; dall’altra, una panchina affidata a Franco Maselli, allenatore di prima categoria, al pari di Mancini e Capello, ma arrivato alla serie A attraverso il settore giovanile e confermatosi solo con risultati eclatanti come una salvezza con il Genoa. Impresa autentica, altro che ritenersi fenomeni perché si allena Ibrahimovic e Cannavaro.
Allenatori si diventa spremendo gioco da Chini e Spinaci, come fa Franco Lerda, alla seconda stagione nella categoria, dopo essersela sudata salvando il Saluzzo, in corsa, l’anno scorso. O guidando, con mano ferma, la banda di ragazzini della Lavagnese ( a parte Masitto, fuori quota e fuori categoria), come Maselli che non ha timore di sentirsi declassato. Deve essere vero proprio il contrario se, prima di lui e come lui, a Lavagna sono passati Lavezzini ( un altro coach di prima categoria) e, l’anno scorso, Eugenio Bersellini, l’ultimo ( a parte il recordman Trapattoni) ad avere vinto uno scudetto, non a tavolino ( lo dico sempre a Mancini), con l’Inter.
Il punto è che il calcio, pur non essendo mai uguale a se stesso, possiede una circolarità di fascinazione, partecipazione, coinvolgimento, immutata e immutabile. E, a volte, come nel caso delle serie minori, è alimento primario per cultura e sperimentazione. Casale-Lavagnese è finita 1- 1. Ho visto gioco maturo e cosciente, uno spettacolo che aveva poco da invidiare ai professionisti. Mi resta un dubbio: cosa avrei scritto se gli allenatori di Casale e Lavagnese fossero stati Capello e Mancini?"

Caro Padovan, te lo dico io cosa avresti scritto, ne più ne meno le stesse cazzate che spari da mesi.
E te lo detto in due righe, mica con un pistolotto senza capo ne coda.