9 febbraio 2007

La violenza negli stadi e le radici del male italiano


Per completezza d'informazione riporto una lettera al Corriere della Sera commentata da Sergio Romano (ndr per il quale nutro ammirazione profonda)

Q
ualche giorno fa è stato commesso l’ennesimo bestiale delitto in nome del calcio, peggiore, nella sua insensata violenza, degli efferati crimini d’altro genere che occupano le cronache e accendono le passioni. Come ogni precedente delitto analogo, pure quest’ultimo non ha solo scatenato discussioni relative ai mezzi con i quali impedire in futuro reati simili, ma ha anche stimolato dibattiti psico-socio-pedagogici sulle motivazioni che sono o sarebbero alla base di tali bestialità.
Ma queste criminose violenze succedono anche e soprattutto perché si permette che succedano; si cerca di arginarle, di contenerle, ma non di reprimerle con la durezza e la severità in tal caso più che necessarie. Se chi uccide allo stadio fosse condannato — ovviamente una volta accertate le sue responsabilità, con tutte le garanzie di uno Stato di diritto— ad anni di carcere per omicidio aggravato da motivi futili e abbietti, nessuno assassinerebbe più poliziotti o tifosi di altre squadre allo stadio. I terroristi che uccidono in nome della rivoluzione o di altre ideologie sono, giustamente, puniti.
Uccidere in nome della Triestina o della Roma è un delitto ancor più grave, per la futilità e l’abiezione dei motivi, e dunque va represso e punito ancor più duramente.
Non ha senso chiudere uno stadio né una sala di concerti quando essi diventano teatro di crimini; sono i singoli e concreti criminali che vanno individuati e puniti, come del resto è accaduto in Inghilterra. Se chi viene sorpreso allo stadio o altrove con un coltello in tasca venisse adeguatamente punito, nessuno più andrebbe in giro armato e nessuno si sentirebbe per questo represso, perché né dare una coltellata né tenere a tal fine un coltello in tasca è un bisogno essenziale dell’uomo.
Anche la violenza sulle cose, che scoppia spesso dopo le partite, va adeguatamente sanzionata. Mi è capitato di vedere dei bruti, dopo una partita, distruggere, per pura euforia di violenza, una tabaccheria e un bar, arrecando un danno pesantissimo alle persone o alle famiglie che avevano aperto quei locali a prezzo di lavoro e sacrifici. Non mi consta che gli autori del danno siano stati costretti a risarcirlo sino all’ultimo centesimo, come sarebbe ovvio e doveroso, magari devolvendo per anni, se privi di altri beni, gran parte del loro stipendio a quel risarcimento.
Ma lo stadio ha evidentemente preso il posto che nel Medioevo aveva la chiesa, un luogo dove i delitti non si possono perseguire, simile alle zone malfamate lasciate in balia dei delinquenti. I provvedimenti, per fortuna sembra energici, che il Governo pare si appresti a prendere, non dovrebbero nemmeno parlare di campionati di calcio, ma semplicemente stabilire rigorose sanzioni, con la ferma intenzione di applicarle, per delitti che sono tali a prescindere dai luoghi in cui avvengono.

Claudio Magris,

le cedo quasi interamente lo spazio della rubrica perché lei dice benissimo ciò che molti lettori, ne sono certo, pensano di questa orribile vicenda. La violenza negli stadi non è un fenomeno spontaneo, imprevedibile e incontrollabile.Èfiglia dell’atteggiamento remissivo e conciliante con cui abbiamo assistito alla crescita di un intollerabile teppismo urbano. Abbiamo permesso che le scuole venissero occupate emesse a soqquadro.
Abbiamo tollerato che le manifestazioni dei centri sociali si lasciassero dietro una scia di vetri rotti e muri sporchi. Abbiamo assistito impotenti alle gazzarre dei tifosi nelle strade e sui treni alla fine di una partita di calcio. Abbiamo chiuso un occhio quando bande di «artisti» hanno cominciato a sporcare le facciate delle case e a violare con i loro graffiti un elementare diritto di proprietà. I teppisti hanno goduto di una sostanziale impunità perché erano «figli» per i genitori, «elettori» per gli uomini politici, «tifosi» per le società calcistiche, «ribelli sociali » per la sinistra massimalista, «vittime della società» per i magistrati progressisti. Molti penseranno che questi reati o infrazioni sono incomparabilmente meno gravi di un omicidio.
È vero. Ma quanto più esteso e profondo è il bacino delle licenze quotidiane, tanto più grande e robusta cresce la pianta della violenza.
Quello che maggiormente mi addolora, caro Magris, è l’unicità del caso italiano. So che il problema del teppismo urbano e della violenza negli stadi affligge quasi tutte le maggiori democrazie occidentale.
Ma noi siamo il solo Paese in cui partiti e governi hanno permesso che le cattive abitudini del ’68 diventassero croniche.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu