7 maggio 2007

Volemose bene.


E' curioso l'uomo Padovan.
Reclama l'unità di squadra (della Juve ndr), invoca la presenza di una società forte che diriga il gruppo con autorità e piglio antico e poi il primo a fare casino, a sparare contro la Juve, è lui.

VIA L’UOMO DELL’UTOPIA GIANCARLO PADOVAN Fossi un tifoso della Juve, comincerei a preoccuparmi. E nemmeno po­co. Perché se la serie A è ormai sicura – nonostante le scelte cervel­lotiche di Deschamps (geniale il 4-3-3 iniziale con Marchionni mezzo de­stro, Nedved che chiedeva dove andare, Del Piero che andava dove gli pa­reva) e grazie alla complicità della difesa del Cesena (sul pareggio di Tre­zeguet, Sarti era dietro la linea di porta, anziché in mezzo all’area pic­cola, e se la prendeva pure con i compagni) – tutto il resto mi sembra for­temente in dubbio. Intanto non si sa se Giovanni Cobolli Gigli, il presidente, sia più un manager prestato al calcio o un uomo di cultura con aspirazione all’esegesi. L’esegesi è l’attività di interpretazione criti­ca di un testo, quindi delle parole. Ieri, dunque, Cobolli Gigli ha inter­pretato la parola utopia – usata dal suo allenatore Didier Deschamps a proposito dell’impossibilità di arrivare allo scudetto fin dall’anno pros­simo – assimilandola al sogno. Ora non so a quali fonti si sia abbeverato Cobolli – spero non ricorren­do ad un poco accademico, e pochissimo attendibile, motore di ricerca su internet – ma, etimologicamente parlando, utopia significa «non luogo». Il vocabolario della lingua italiana – in genere mi affido al Nuovo Zani­chelli – si incarica di indicare, come secondo significato: «concezione, idea, progetto, aspirazione e similia: vanamente proposti in quanto fan­tastici e irrealizzabili». Non a caso il sinonimo è «illusione». Nonostante apprezzi la buona volontà di Cobolli di mettere una pezza al­le affermazioni di Deschamps (ah, se ci fosse qualcuno che insegna un po’ di buon italiano; ah, se ci fosse qualcuno a vigilare sull’attività della squa­dra e del suo allenatore), consiglierei, se mi è permesso, di ripristinare il pragmatismo di chi dirige uomini e strutture. Deschamps non crede allo scudetto perché non crede ai propositi della dirigenza? Oppure Deschamps non ci crede perché, nonostante la sua pa­lese mediocrità, pensa di avere un mercato lontano dall’Italia? Sia per un motivo o sia per l’altro, un allenatore così va congedato al più presto. Primo, perché non è più in sintonia con le linee dettate dal proprio club; secondo, perché di allenatori migliori di Deschamps, in Italia, ce ne sono almeno una trentina. Siccome poi, dalla panciuta critica italiana, inca­pace di tirare il calcio ad un pallone non distinguendo neppure il collo dal­l’interno del piede, sento criticare José Mourinho con quel che ha vinto in Portogallo (Coppa Uefa e Champions League con il Porto) e in In­ghilterra (due Premier e due Coppe di Lega, per ora, con il Chelsea), mi chiedo come si possa sopportare un tecnico che di fronte al Cesena ha fat­to ruminar palla alla sua squadra per l’intero secondo tempo, beccando il pareggio da calcio d’angolo, senza mettere presidio ai pali. Caro presidente, lei sa che il realismo è, per un manager, la bussola da cui non discostarsi mai. Deschamps che dice e ribadisce quanto lo scu­detto, o la lotta per lo scudetto, sia un’utopia non può e non deve stare alla Juve. Significa che non ha la statura mentale, prima che tecnica, per traguardi di tale livello. Significa che, forse freudianamente, ammette di non volerci aspirare. Significa che, con lui, al massimo si può vincere il campionato di serie B. Insomma, facciamo l’analisi al suo atteggiamen­to e scopriamo la testuale verità: Deschamps vuol dire utopia.









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