29 marzo 2007

Il caso Mastrogiacomo


A distanza di qualche giorno dalla liberazione di Mastrogiacomo, copiincollo il punto di vista di Sergio Romano dalla rubrica Lettere al Corriere.

Cara signora, cari Imbimbo e Spinosa, ho scelto le vostre lettere, fra le molte arrivate sul caso Mastrogiacomo, perché toccano tre argomenti che mi sembrano in questa vicenda particolarmente interessanti: il ruolo degli americani, le ragioni di un negoziato così discutibile e i precedenti del governo Berlusconi.
Ruolo degli americani. A giudicare da quanto è stato pubblicato dalla stampa è molto probabile che il comando delle forze degli Stati Uniti in Afghanistan, con i mezzi elettronici di cui dispone, abbia seguito attentamente le fasi del negoziato. Gli americani non si sono opposti e non hanno cercato di intralciarlo perché immaginavano, soprattutto dopo l'«incidente» Calipari, quale ondata di anti-americanismo si sarebbe sprigionata dalla società italiana se fosse stato possibile affermare che il negoziato era fallito per colpa loro. E sapevano che il governo Prodi si sarebbe scontrato in Parlamento con difficoltà insormontabili. È probabile che qualcuno, a Washington, abbia pensato del governo italiano ciò che si diceva del pianista nei saloon del Far West: suona male ma non sparategli, è il solo che abbiamo. Dopo la fine dell'episodio, tuttavia, gli americani hanno ritenuto necessario dire ai talebani e al mondo che gli Stati Uniti, nelle stesse circostanze, si sarebbero comportati diversamente. Ciò che noi abbiamo interpretato come una manifestazione di malumore verso l'Italia era anche un comprensibile gesto di prudenza e chiarezza.
Le ragioni del negoziato. Il governo ha deciso di trattare con i talebani, sia pure indirettamente, perché era preso fra tre fuochi: il ricatto dei rapitori, il timore che la sua sinistra radicale, se la vicenda si fosse conclusa tragicamente, avrebbe votato in massa contro il rinnovo delle missioni militari, e infine la potenza mediatica di Repubblica, fiancheggiata dalla solidarietà della comunità giornalistica. Ha preso una decisione avventata e pericolosa? Temo di sì. I talebani hanno capito che l'Italia è pronta a negoziare e guarderanno agli italiani, d'ora in poi, come a bersagli particolarmente redditizi.
I precedenti. Credo anch'io che il centro-destra, dopo quanto accadde in Iraq per la liberazione delle due Simone e di Giuliana Sgrena, non abbia il diritto di scagliare la prima pietra e possa tutt'al più invocare una attenuante: quella di avere pagato le liberazioni in denaro anziché con il rilascio di pericolosi guerriglieri. Il governo Berlusconi era un po' meno ricattabile del governo Prodi, ma sapeva che il Paese era contrario alla missione irachena e temeva i contraccolpi che la vicenda avrebbe avuto sulla prossima scadenza elettorale. In ultima analisi ambedue i governi si sono ispirati a un vecchio adagio latino: primum vivere, deinde philosophari. La «filosofia», vale a dire un'analisi dei fatti severa e rigorosa, è un lusso che i governi deboli non possono permettersi.

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