10 novembre 2006

Romano


Prendo spunto, anzi semplicemente riporto un commento di Sergio Romano (ex ambasciatore italiano a Mosca ed attualmente editorialista per il Corriere della Sera) sulla valutazione storica della Resistenza in Italia.
Mi pare inutile sottolineare che nutro un’ammirazione sconfinata in Sergio Romano, ho potuto assistere ad alcune sue lezioni universitarie e lo ritengo uomo di intelligenza e chiarezza assoluta.
Romano scrive:
“La maggiore tragedia italiana fra il 1943 e il 1945 fu nel fatto che la parola «onore» potesse avere, in uno stesso Paese, due significati completamente diversi. Si aggiunga a questo che il Pci tentò di monopolizzare la lotta di liberazione e se ne servì, nei decenni seguenti, per oscurare, agli occhi della società italiana, i suoi rapporti con l'Unione sovietica e le sue responsabilità storiche all'ombra di Mosca. Era inevitabile che questa operazione suscitasse diffidenza in quanti temevano l'avvento del comunismo e che tale diffidenza abbia di conseguenza nuociuto all'immagine della Resistenza nel Paese.”
Non solo, aggiunge Romano: “nelle prime elezioni politiche dopo la fine del conflitto (quelle per l'Assemblea costituente del 2 giugno 1946), il Partito comunista ebbe una percentuale di voti (18,9%) inferiore a quella del Partito socialista (20,7%). Il sorpasso avvenne più tardi e fu il risultato della straordinaria somiglianza del Pci con il partito che aveva maggiormente applicato negli anni precedenti le tecniche dell'organizzazione capillare e del consenso. Molti italiani divennero comunisti perché scoprirono nel Pci la bella copia del grande partito di massa che li aveva attratti e ispirati durante gli anni del fascismo. La Resistenza divenne da quel momento, nella simbologia collettiva e nella retorica ufficiale, ciò che la Rivoluzione fascista era stata negli anni del regime: un patrimonio da custodire e completare. Esiste a questo proposito un altro interessante parallelismo. Come nel partito fascista vi furono coloro che lamentarono il tradimento della rivoluzione e auspicarono una «seconda ondata», così nel Pci vi furono, dopo il 1968, coloro che denunciarono il tradimento della Resistenza e invocarono una nuova lotta di liberazione.”

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